Avviato nella Milano del dopoguerra e proseguito dopo il rientro di Saba a Trieste, il carteggio tocca le corde più intime dei due poeti; narcisisticamente piegato su sé, Saba apre il cuore al giovane amico, gli rivela le proprie sofferenze, sfoga il suo sdegno contro l'Italia clericale e fascista, gli addita l'ideale di una poesia onesta meglio che bella.
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Sereni, paziente e delicato, cerca di temperare e consolare gli eccessi dell'amico, gli da con premura notizie del giovane Federico per il quale batte il cuore del vecchio Umberto, gli confessa le difficoltà della sua vena poetica esigente e incerta. Si aprono tra le lettere episodi di vita vissuta, come il delizioso episodio degli «angeli musicanti», piccoli profughi istriani ricordati in una prosa di Sereni. Verso la fine, malato e disperato, Saba invia a Sereni una lettera autobiografica che vale come un testamento spirituale e sceglie per la propria tomba i versi dell'amico, che ritocca però a modo suo: «Ora ogni fronda è muta, / fatto il guscio all'oblio, / perfetto il cerchio». Il cerchio imperfetto è il titolo giusto per questo carteggio, in cui la vita non ha ancora chiuso il suo cammino e nel quale continue sorprese piegano la figura euclidea verso una inquieta geometria concettuale.