Vienna, 2020. Rudolf Steiner è invecchiato con la convinzione che tacere il suo passato doloroso fosse l'unico modo per tenere la sua famiglia lontana da quella sofferenza.
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Le cose cambiano il giorno in cui suo nipote Marcus, quindicenne ribelle che ormai vede solo alle feste comandate, viene sospeso per cinque giorni per aver imbrattato i muri della scuola con frasi oltraggiose verso una compagna di classe di religione ebraica. È allora che Rudolf comprende che la memoria che smette di essere detta smette anche di essere compresa ed è così che propone al ragazzo un viaggio in Polonia, l'ultima occasione per rivivere una storia che nemmeno le sue figlie conoscono. Varsavia, 1939. Se c'è una cosa che Janusz ha imparato dai film e dai fumetti è che gli eroi vincono sempre. Finché, una sera, suo padre Yaacov Katznelson, negoziante ebreo di Lodz, torna a casa con un occhio nero e la camicia strappata, dopo essere stato aggredito senza alcun motivo. Allora, due sono le possibilità: o non è un eroe, o i film raccontano bugie. Di certo, non può immaginare, a cinque anni, quello che il suo popolo e la sua famiglia dovranno sopportare. Ma Janusz capirà sulla propria pelle che gli eroi esistono eccome e ne incontrerà tanti, come quell'infermiera Jolanta che gli cambierà la vita per sempre. Un nome che non è il mio è un romanzo toccante e profondo ispirato alla vera storia di Irena Sendler, l'eroina polacca conosciuta come la «Schindler di Varsavia», che nei primi anni Quaranta riuscì a salvare quasi tremila bambini ebrei.